Agci Sicilia: " No all'aumento dell'Iva per le coop sociali"

C’è una norma, proposta dal governo Monti, che sta passando quasi inosservata nelle more della nuova legge di stabilità. Ma che graverà come un macigno sulle fasce più deboli della popolazione, riducendo drasticamente servizi scolastici e soprattutto il settore dell’as- sistenza ad anziani e disabili. Si tratta della norma che, a partire dal prossimo gennaio, elev- erà dal 4 al 10 per cento l’Iva sulle prestazioni sociali e assistenziali. Un aumento record del 150 per cento che colpirà tutti: i comuni, che de- vono ancora saldare i debiti con le cooperative sociali per le prestazioni degli anni passati; le co- operative sociali, che proprio a causa di quei debiti sono oggi in ginocchio; le famiglie, che si vedranno tagliare drasticamente i servizi di as- sistenza. Secondo i primi calcoli, la nuova norma comporterà una riduzione di circa 500 milioni di euro, di cui due terzi verranno tolti ai comuni e il resto alle famiglie. Come ben si comprende, si tratta di un attacco frontale al welfare. Un at- tacco che rischia di portare al definitivo collasso del settore, trascinando nel baratro cooperative, lavoratori e famiglie.
Già, perché l’aumento dell’Iva arriva nel bel mezzo di una crisi nera per il welfare. Nel 2012, il fondo nazionale per le politiche sociali è stato ridotto di 11 milioni, un taglio che ha peggiorato la già grave situazione economica dei comuni, che non riescono più a saldare i debiti accumu- lati con le imprese per le prestazioni effettuate. Lo stesso dicasi per le Asl, anche loro insolventi, che quest’anno si sono viste ridurre i trasferi- menti del 5 per cento e che nel 2013 dovranno fare i conti con un taglio al budget di un altro 10 per cento. «Di fatto – dice Michele Cappadona, presidente dell’Agci Sicilia – le cooperative sociali atten- dono da ben 3 anni il pagamento di fatture rela- tive ai servizi espletati a favore di disabili, minori e anziani. Solo in Sicilia, i debiti accu- mulati dalla pubblica amministrazione nei con- fronti delle imprese superano i 3 miliardi di euro. E questo, proprio negli anni in cui la generale crisi economica ha aumentato il numero di famiglie che vivono sotto la soglia di povertà. E’ chiaro a tutti che in queste condizioni non solo sta morendo il welfare, ma stanno venendo meno i pilastri di solidarietà e di equità sociale su cui si dovrebbe basare la nostra democrazia. Le co- operative sociali chiudono i battenti, dopo aver retto per anni il peso del welfare sulle proprie spalle. E migliaia di famiglie resteranno senza assistenza, proprio nel momento in cui ne avrebbero avuto più bisogno».
A voler guardare i freddi conti economici, poi, l’aumento dell’Iva, anziché produrre benefici, si tradurrà in un boomerang per lo Stato, che si ritroverà alla fine della partita con una fortissima riduzione delle entrate fiscali. «L’effetto di queste misure – spiega Cappadona – sarà dram- matico. Se chiudono le imprese sociali, come sta avvenendo e come avverrà, ci saranno più diso- ccupati. Comuni e Asl saranno costretti a pagare di più per i servizi di assistenza. E le famiglie dovranno aumentare le spese per tali servizi». Tradotto, significa meno risorse che ritornano al- l’intero sistema economico in consumi. E dunque, meno entrate fiscali per lo Stato. Un paradosso drammatico. Ma non l’unico per chi opera nel welfare italiano. «Lo Stato sa di es- sere debitore nei confronti delle imprese – dice Cappadona – I debiti accumulati ammontano a 100 miliardi su tutto il territorio nazionale. Più di una volta sono state annunciate misure per af- frontare questa situazione, ma non è stato fatto ancora nulla. Nel frattempo, però, le imprese hanno tasse da pagare a quello stesso Stato verso il quale vantano crediti. E se non lo fanno, anche solo per un euro, scatta la mannaia di Equitalia e il ritiro del Durc, documento senza il quale non possono operare con la pubblica amminis- trazione». Un cane che si morde la coda, insomma. E in- tanto, l’emorragia di imprese continua: nel 2011, ben 11.700 aziende sono state dichiarate fallite per una perdita complessiva di quasi 50 mila posti di lavoro. E secondo la Cgia di Mestre, un’azienda su tre fallisce proprio per il ritardo dei pagamenti.

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