Il CoopsDay, la Giornata internazionale delle cooperative, si è celebrata come di consueto in tutto il mondo il primo sabato di luglio, accendendo i riflettori internazionali sul modello di impresa partecipativa basata sul lavoro solidale.
“Le cooperative per il lavoro dignitoso” è il tema individuato per questo 6 luglio 2019. Una scelta motivata dalla volontà di sostenere l’obiettivo di sviluppo sostenibile n.8 dell’ONU – “Sviluppo inclusivo e lavoro dignitoso” – in un contesto generale segnato dalle crescenti disuguaglianze, dall’aumento dell’insicurezza del lavoro e dall’elevato tasso di disoccupazione, in particolare tra i giovani e le donne.
In quanto imprese centrate sulle persone e attori chiave dello sviluppo, le cooperative in tutto il mondo danno un contributo rilevante alla salvaguardia e alla creazione di buona occupazione in tutti i settori dell’economia e all’emancipazione sociale ed economica delle comunità locali.
Abbiamo chiesto a Michele Cappadona, presidente regionale dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, in occasione del CoopsDay, di fare il punto della situazione sul movimento cooperativo, indicandone criticità e prospettive.
“Il ruolo delle cooperative e dell’economia sociale e solidale nel futuro del lavoro, per generare lavoro dignitoso, occupazione produttiva e standard di vita migliori per tutti, è stato di recente ancora una volta riconosciuto nella dichiarazione finale della Conferenza internazionale sul Futuro del lavoro in occasione del Centenario dell’OIL, l’agenzia del Lavoro delle Nazioni Unite, che si è tenuta a Ginevra dall’11 al 21 giugno 2019″.
In effetti i dati riportano che le cooperative di tutto il mondo impiegano o sono la principale fonte di reddito per oltre 279 milioni di persone, quasi il 10% della popolazione attiva mondiale.
“L’aspetto rilevante è però la qualità del modello cooperativo”, continua Cappadona. “Rispetto all’occupazione in altri settori, i posti di lavoro cooperativi tendono ad essere più sostenibili nel tempo, mostrano un divario minore nei salari tra diverse fasce retributive, sono distribuiti in modo più uniforme tra aree rurali e aree urbane. La dichiarazione della Conferenza del Centenario dell’OIL afferma che in questi tempi di ‘cambiamento trasformativo nel mondo del lavoro’ e ‘disuguaglianze persistenti’, è imperativo agire con urgenza per cogliere le opportunità e affrontare le sfide per modellare un futuro equo, inclusivo e sicuro del lavoro, senza lasciare nessuno indietro”.
In che modo questo apprezzamento internazionale si riflette sul mondo della cooperazione in Italia?
“Pur essendo la funzione sociale della cooperazione espressamente riconosciuta in Italia dall’art. 45 della Costituzione, che stabilisce anche doversi promuovere e favorire il suo sviluppo, avvertiamo invece una disattenzione istituzionale verso il settore, dove sono presenti moltissime imprese sottocapitalizzate di piccole dimensioni che vivono una situazione di grave precarietà e avrebbero bisogno invece di una concreta politica di sostegno e misure specifiche di tutela.
Istituzionalmente, nonostante il dettato costituzionale, si avverte la mancanza di una specifica programmazione nazionale per lo sviluppo delle imprese cooperative.
Come tema di attualità, per regolamentare con maggiore equità le imprese cooperative in Italia andrebbero immediatamente riviste due norme, che riguardano l’obbligatorietà dell’organismo di controllo e del consiglio di amministrazione”.
Si tratta di aspetti gestionali essenziali. Può darci qualche indicazione più precisa?
“Alle cooperative di piccole dimensioni, ai sensi dell’art. 2519 del codice civile vengono applicate le norme sulle società a responsabilità limitata. Di recente sono stati modificati i parametri che impongono alle srl di dotarsi di un organo di controllo con la presenza di un revisore legale esterno, obbligo che per le micro e piccole imprese risulta oggettivamente troppo oneroso, ponendo anche delle complicazioni procedurali.
Prima del Dlgs 14/2019, l’obbligo scattava per le società a responsabilità limitata superando per 2 anni consecutivi 2 limiti distinti su 3 previsti: Attivo stato patrimoniale: 4.400.000 euro; Ricavi conto economico: 8.800.000 euro; Media dipendenti occupati nell’esercizio: 50 unità.
Oggi, per effetto della legge di conversione n. 55/2019, pubblicata in Gazzetta il 17 giugno scorso, (il cosiddetto provvedimento ‘Sbloccacantieri’), l’obbligo agisce superando per 2 anni consecutivi soltanto 1 dei 3 parametri modificati: Attivo stato patrimoniale: 4.000.000 euro; Ricavi conto economico: 4.000.000 euro; Media dipendenti occupati nell’esercizio: 20 unità.
Il limite delle 20 unità di dipendenti/soci cooperatori è oggettivamente troppo basso, si pensi alle cooperative di pesca dove 20 unità possono corrispondere anche a sole tre/quattro imbarcazioni. Oppure alle cooperative sociali, dove un numero maggiore di soci-dipendenti risponde proprio alla finalità di integrazione attraverso l’inserimento lavorativo di un numero quanto più alto possibile di soggetti svantaggiati.
Le due possibili soluzioni per una maggiore equità sono o aumentare il parametro dei dipendenti (fino a qualche mese fa secondo l’art. 2477 erano 50) oppure riportare a 2 su 3 i limiti da superare perché scatti l’obbligo dell’organismo di controllo.
Obbligo del consiglio di amministrazione: dal 1° gennaio 2018 le cooperative non possono più essere gestite da un amministratore unico, ma devono dotarsi di un cda costituito da almeno tre soggetti.
Lo scopo è quello di rafforzare la partecipazione dei soci ai processi decisionali e, affidando la gestione a più persone, contrastare cooperative irregolari, (cosiddette “false cooperative”) e comportamenti illegittimi.
La norma crea però oggettive difficoltà nella società più piccole, in cui non tutti i soci sono disposti a mettersi in gioco ed essere nominati amministratori, affrontando le conseguenti responsabilità.
Inoltre, le cooperative possono essere composte anche solo da tre soci. È del tutto evidente che nelle società con un piccolo numero di soci il controllo che l’assemblea ha nei confronti dell’operato dell’amministratore unico è già molto forte. L’obbligo di nominare un cda risulta quindi solo un’inutile complicazione. Nel caso di società con tre soli soci, il cda addirittura coincide con l’assemblea, ed è quindi superfluo. Nelle società con cinque soci, i tre soci amministratori (controllati) sono la maggioranza assoluta dell’assemblea (l’organo che dovrebbe controllarli).
L’obbligo di nominare un cda assume quindi un senso, secondo lo spirito con cui il legislatore ha motivato l’introduzione della norma, palesemente solo al di sopra di un numero minimo di soci, per esempio 12”.
Tutto questo riguarda le norme specifiche che disciplinano la gestione amministrativa. Quali possono essere altri interventi su aspetti diversi e particolari criticità?
“Le cooperative subiscono, come in generale le altre imprese, ma spesso in condizione di maggiore fragilità, il grande problema irrisolto del ritardo dei pagamenti nella pubblica amministrazione. Questo nonostante la normativa europea (direttiva 2011/7/EU) sia stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, prevedendo l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pagare le imprese creditrici entro il termine massimo di 30 giorni, pena interessi di mora dell’8 per cento al di sopra di quello di riferimento della Banca centrale europea.
I dati di Assobiomedica relativi alla sanità, ad esempio, mostrano che i DSO (Days sales oustanding) sono passati da 372 giorni nel 2006 ai 125 del 2018. Un considerevole miglioramento, ma ancora insufficiente. In quei quattro mesi di ritardo, infatti, un’impresa deve pagare dipendenti, fornitori, tasse e contributi e interessi sul debito.
In Sicilia in particolare le imprese cooperative che più soffrono per i pagamenti fuori termine sono quelle sociali, in particolare quelle che svolgono servizi di assistenza sociale residenziale, che lamentano ritardi che arrivano a superare anche i 24 mesi. Con la circolare del 26 giugno 2018 del Dipartimento regionale alla Famiglia le ASP vengono chiamate a compartecipare al pagamento delle rette di ricovero dei disabili nella misura del 40%. Ciononostante, le Asp non provvedono e le rette rimangono impagate, motivo per cui Agci Sicilia sollecita da tempo l’intervento congiunto degli assessori alla Famiglia Scavone e alla Sanità Razza.
Il mancato incasso comporta in particolare per le imprese anche l’onere di far fronte nel frattempo ai contributi previdenziali, ovvero di subire il mancato rilascio del documento unico di regolarità contributiva (Durc), il che pregiudica l’aggiudicazione di nuove commesse.
La mozione n. 1-00013 approvata all’unanimità lo scorso 28 maggio alla Camera, ha impegnato il governo ad adottare diverse iniziative volte a sbloccare il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso imprese e professionisti. Prescindendo dai controversi minibot, oltre l’ampliamento delle fattispecie ammesse alla compensazione tra crediti e debiti della pubblica amministrazione, una misura senz’altro strategica indicata nella mozione è la modifica della disciplina relativa al Durc, con la previsione che ‘esso possa essere rilasciato qualora l’impresa dimostri di detenere crediti certi, liquidi ed esigibili in misura tale da non consentire versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, prevedendo anche in tale ambito un meccanismo di compensazione’.
In sostanza, basterebbe stabilire che la regolarità contributiva possa essere riconosciuta se a fronte della cifra eventualmente non ancora versata esistono fatture impagate da parte della PA. Con l’introduzione della fattura elettronica, l’IVA non viene più corrisposta al fornitore dell’ente pubblico, ma compensata. Basterebbe quindi potere consentire all’impresa di esporre in fattura, oltre l’IVA, anche un importo separato riferibile a contributi, da compensare. Ogni fattura potrebbe così riportare il costo complessivo e le tre voci disaggregate dell’IVA, del costo dei contributi, dell’importo al netto dei contributi. Ai fini del rilascio del Durc, dovranno essere compensati gli importi in fattura riferiti al costo dei contributi, che la PA provvederà poi a versare direttamente agli enti previdenziali indicati”.
Ma i lavoratori delle cooperative vengono retribuiti correttamente?
I ritardi nei pagamenti della PA possono riflettersi certamente anche sui soci lavoratori. Ma i Comuni, contesta da sempre l’Agci, nello stabilire i corrispettivi dei servizi non possono comunque diminuire gli importi al di sotto dei costi di produzione, basandosi sul presupposto che le cooperative ‘sanno come far quadrare i conti’, alludendo a buste paga non in linea con quanto previsto nei ccnl. Su questo aspetto, in Sicilia urge ripristinare l’Osservatorio sulla cooperazione presso l’Ufficio del lavoro e della massima occupazione.
Per quanto riguarda invece le politiche di sostegno finanziario diretto?
“Occorre per esempio dare la possibilità, attraverso procedure di credito agevolato, di rendere liquide immediatamente tutte le fatture emesse nei confronti della pubblica amministrazione. Oltre a mettere in campo speciali agevolazione per lo startup di imprese cooperative, attraverso le risorse UE. Penso anche alla rigenerazione di aziende in crisi attraverso iniziative di workers buyout attraverso un patto sul lavoro sostenuto da centrali cooperative, Anci e sindacati. O all’impulso ai settori delle imprese culturali e creative, lasciati senza regolamentazione dopo la loro istituzione. E ancora all’introduzione delle cooperative di comunità, in Sicilia ancora nel limbo delle norme inattuate. Occorre senz’altro intervenire sia a livello nazionale che a quello regionale con politiche a tutto campo che non lascino sulla carta il principio del sostegno allo sviluppo della cooperazione garantito dall’art. 45 della Costituzione. L’Agci – conclude Michele Cappadona – come sempre provvederà ad impegnare costantemente le Istituzioni, dalla programmazione delle risorse all’attuazione delle misure concrete, in tutte le battaglie a sostegno delle imprese cooperative.
Credits: ilgazzettinodisicilia.it