I rappresentanti siciliani di Agci, Confcooperative, Legacoop hanno incontrato il ministro Provenzano sulle criticità del sistema cooperativo e le politiche del Governo nazionale per la Sicilia, a partire dal mancato rispetto della proporzionalità della spesa dello Stato in ragione della popolazione nel territorio, e l'uso dei fondi europei, che devono essere aggiuntivi e non sostitutivi rispetto alla spesa ordinaria.
All'incontro, che si è svolto in Prefettura, erano presenti per l'Associazione Generale delle Cooperative Marcello Curatolo, della Presidenza regionale, e Franco Sprio, presidente della Federazione AGCI Palermo.
“Siamo soddisfatti dell’incontro con il ministro per il Sud e la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano: il rappresentante del governo Conte ha manifestato oltre che una specifica competenza una grande sensibilità e attenzione per la questione Mezzogiorno e per le istanze che riguardano la Sicilia. Auspichiamo ulteriori confronti e soprattutto confermiamo la disponibilità a collaborare nell’interesse della nostra Regione, al fine di poter superare le tante difficoltà che vivono i cittadini e le imprese”. Ad affermarlo congiuntamente sono i rappresentanti delle cooperative siciliane aderenti all’Agci, Confcooperative, Legacoop.
Il Sud conta numeri di assoluto rilievo nel settore della cooperazione: delle 80 mila cooperative attive in Italia, a fine 2018, circa il 48% sono nelle Regioni del Mezzogiorno, Sud e Isole comprese e sono quelle che registrano la maggiore vitalità: di oltre 4 mila nuove imprese cooperative iscritte nel 2018, la metà sono localizzate nelle Regioni del Mezzogiorno.
La Sicilia è la seconda Regione italiana per presenza cooperativa rispetto al totale delle imprese. Il movimento cooperativo in Sicilia rappresenta circa 9.000 imprese, oltre 300.000 soci e 70.000 addetti e produce circa 4 miliardi di euro di fatturato.
Numeri importanti, ma non mancano difficoltà ed emergenze di contesto: la prima da segnalare, notissima, rimane lo spopolamento e la fuga dei giovani. Secondo l’ISTAT dal 2017 al 2065 la popolazione del Mezzogiorno (isole comprese) potrebbe passare da 20,4 a 15,8 milioni, cioè 4,6 milioni di abitanti in meno. Questa diminuzione riguarderà in maniera pressoché totale popolazione in età produttiva, per lo più giovani. In Sicilia 1 milione di abitanti in meno. Questa condizione demografica determina uno scenario insostenibile sotto il profilo sociale ed economico e richiede pertanto una strategia mirata e a lungo respiro.
La seconda, meno presente nel dibattito pubblico ma assolutamente rilevante, è il crollo della Coesione sociale: negli anni si è accentuato il taglio indiscriminato della spesa statale e regionale per servizi sociali, non controbilanciato dall’incasso di tributi da parte delle pubbliche amministrazioni locali. Questo scenario, aggravato dal peggioramento delle condizioni economiche, determina condizioni di sempre maggiore degrado sociale. La Coesione sociale è premessa per lo sviluppo. In sua assenza non potrà esserci l’indispensabile partecipazione attiva dei cittadini ai processi di sviluppo, condizione indispensabile al loro successo.
Occorre quindi invertire il trend di progressiva riduzione della spesa sociale dal livello centrale, assicurando nel contempo il prelievo fiscale a livello locale, ottenendo così l’obiettivo di mantenere il necessario livello di spesa sociale. A questo tema è strettamente collegato quello del dissesto di molti Comuni: è da mantenere alta l'attenzione sia per prevenire la situazione di dissesto in sé, che per intervenire in modo tale da tutelare i crediti vantati delle imprese che forniscono per conto dei Comuni in dissesto servizi spesso di vitale importanza sociale. Peraltro le cooperative che erogano questi servizi subiscono i ritardi dei pagamenti dei Comuni facendo banca per la PA. Nel merito, la proposta delle tre centrali cooperative mira ad inserire i servizi e gli interventi sociali di cui all'art. 22 della L. 328/2000, tra i "servizi indispensabili", rispetto ai quali, come noto, vige il divieto di esecuzione forzata sulle somme destinate al loro svolgimento.
In controtendenza rispetto ad una politica di potenziamento delle forniture nei confronti della pubblica amministrazione, che voglia seriamente premiare il tessuto delle imprese siciliane, viene considerata l’intenzione di trasferire al di fuori della Regione la Centrale Unica di Committenza istituita in Sicilia con la legge n. 9 del 2015, con lo scopo di razionalizzare e ridurre la spesa pubblica nell’acquisizione di beni e/o servizi.
Si tratta, nei fatti, dell’applicazione pratica della nostra autonomia regionale. Le tre centrali cooperative ritengono opportuno che questa competenza e questa autonomia permangano in capo alla Regione Siciliana.
Infine, il tessuto delle micro e piccole imprese cooperative ha subito come oggettiva difficoltà gestionale l'introduzione dell'obbligo del consiglio di amministrazione e dell'organo di controllo, Misura quest'ultima che impone oneri sproporzionati per le aziende di piccole dimensioni.
Premesse queste criticità di contesto, Agci, Confcooperative e Legacoop hanno formulato una proposta, già presentata attraverso il ministro Provenzano al Governo nazionale, che delinea specifiche politiche di intervento.
Innovazione, innanzitutto: la quarta rivoluzione industriale rischia di allargare il divario tra nord e sud del Paese. Ma se opportunamente valorizzata la trasformazione digitale può offrire al contrario una straordinaria opportunità per frenare la dinamica della migrazione delle giovani intelligenze. In tal fine, occorrerebbe una strategia capace di mettere in rete Stato, Regione, Università, Centri di Ricerca e imprese per favorire l’insediamento in Sicilia di unità operative delle grandi multinazionali tecnologiche, nell'ambiro di un progetto teso allo sviluppo di start up, che attraverso un costante trasferimento tecnologico faccia della Sicilia un punto di riferimento della ricerca e della produzione di prodotti innovativi.
Sviluppo sostenibile e cibo di qualità: il tema della sostenibilità ambientale ha assunto una dimensione economica sempre più significativa. Cresce infatti nel mondo il segmento di mercato fatto da consumatori che vogliono scegliere prodotti realizzati da imprese sostenibili. Nello stesso tempo aumenta la consapevolezza della necessità di superare un modello alimentare costruito sulle esigenze dell’industria e della distribuzione che rivela sempre più i propri effetti dannosi sulla salute dell’uomo. La Sicilia (e il Mezzogiorno) hanno la possibilità (poca coltura intensiva, caratteristiche pedo-climatiche, peso non eccessivo dell’industria) per caratterizzare un’offerta agroalimentare sostenibile e di qualità da promuovere nel mondo per soddisfare questa nuova domanda di mercato.
Al Turismo è strettamente collegata una crescente domanda con formule innovative, che presuppone storia, identità, cultura, esperienze. La Sicilia ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo centrale in questo settore, e le imprese cooperative sono pronte a misurarsi avviando un confronto mirato con il Governo. È chiaro che sviluppare il segmento turistico significa garantire condizioni adeguate di servizi al turista e la capacità di assicurare un governo del territorio atto a garantire le necessarie condizioni di accoglienza.
Rilancio del comparto dell’edilizia attraverso gli investimenti infrastrutturali e sburocratizzazione, semplificando i passaggi autorizzativi evitando duplicazioni (in Sicilia si è passati da 150.683 occupati nel settore del 2008 ai 70.467 del 2018, a questi vanno aggiunti quelli dell’indotto).
Patrimonio culturale, risorsa inestimabile. Si punta all’attivazione di un sistema di rete regionale con circuiti di sviluppo innovativo di filiera nel settore dei beni culturali, attraverso forme societarie cooperative per promuovere nell’Isola nuove micro-PMI. Per quanto riguarda il settore dei beni culturali, la Sicilia possiede infatti un patrimonio culturale e ambientale ricchissimo, con tantissimi giacimenti culturali ancora sostanzialmente intatti. Per la valorizzazione del patrimonio culturale siciliano e la creazione di efficaci circuiti di sviluppo in grado di favorire il successo di start-up di imprese culturali, si vuole costituire una speciale cabina di regìa tra le tre centrali cooperative. Occorre inoltre prevedere misure che consentano un agile ed efficace raccordo tra il sistema delle imprese di settore e le amministrazioni statali, regionali, comunali, soprintendenze, organismi ed enti pubblici che abbiano finalità istituzionali specifiche in materia.
“Non abbiamo la presunzione di dire che la piattaforma di proposte presentata sia già la soluzione. Ma è il percorso iniziale al quale noi pensiamo, per il quale occorre una strategia mirata, una stretta collaborazione istituzionale e un’adeguata concentrazione delle risorse. È chiaro che questa strategia deve garantire le condizioni in premessa, a partire dalla clausola di proporzionalità della spesa in ragione della popolazione (finora non rispettata). E i fondi europei devono essere aggiuntivi e non sostitutivi rispetto alla spesa ordinaria, condizione indispensabile per ridurre il divario infrastrutturale e sostenere la spesa sociale. Le infrastrutture da realizzare, va sottolineato, non sono solo materiali. Contestualmente va adottata una strategia mirata di contrasto alle imprese irregolari”, dicono i rappresentanti di AGCI, Confcooperative e Legacoop.
Che, infine, concludono indicando “specifici strumenti cooperativi da valorizzare nella attuazione delle strategie di rilancio del Mezzogiorno: incentivazione delle WBO (Workers Buy Out), iniziative con cui le aziende in crisi possono essere rilanciate attraverso la gestione diretta da parte dei lavoratori (si contano esempi virtuosi anche nel Mezzogiorno); riutilizzo dei beni confiscati, emergenza assoluta sia per l’esigenza di affermare la legalità nel libero mercato sia per il messaggio negativo che offre al territorio il fallimento ed il depauperamento delle aziende e dei beni confiscati; cooperative di comunità, di cui si attende ancora la regolamentazione in Sicilia: occorre mettere il cittadino delle aree svantaggiate (aree rurali svantaggiate e periferie urbane degradate) al centro del processo di costruzione del proprio futuro”.
Credits: AltraSicilia