A fronte di una diminuzione generale dei reati, secondo il ministero dell’Interno durante il lockdown soltanto l’usura è cresciuta, del 9%. L’attuale crisi di liquidità rischia di gettare davvero imprenditori e lavoratori travolti dalla disperazione nelle mani degli usurai e delle organizzazioni criminali.
L’allarme viene dato con sempre maggiore insistenza da parte di tutte le associazioni delle imprese e antiracket. È un coro ormai unanime, che denuncia come la morsa della crisi economica e dell’usura si stringe sempre di più a strangolare non solo le aziende, ma anche i privati, lavoratori disoccupati e cassintegrati in gravi difficoltà economiche.
“C’è un grande difetto alla base del concetto ottimistico del ‘ritorno alla normalità’ di questa fase post-lockdown. La normalità prima della pandemia, soprattutto in Sicilia, per troppe aziende era già una situazione emergenziale, pressoché in quasi tutti i settori produttivi, con gravi problemi di accesso al credito e sovraindebitamento”, commenta Michele Cappadona, presidente dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane. “Ad aggravare la situazione, la ’normalità’ è anche l’inefficienza della macchina amministrativa e la lentezza della burocrazia, al punto tale che i politici al governo ormai annunciano alla pubblica attenzione come un successo ogni volta che, finalmente, riescono a compiere bene o male quelli che sono semplici e doverosi atti di normale amministrazione. Il nodo della liquidità - spiega Cappadona - rimane l’aspetto centrale del problema. Se prima del coronavirus le imprese erano in ginocchio, ora sono prostrate del tutto. La riapertura sta avvenendo senza ancora aver provveduto a far giungere i soldi alle imprese, che ne hanno disperato bisogno. Gli ultimi dati pubblici di Eurispes, come ampiamente riportato dalla stampa, vedono le province siciliane tra quelle più in pericolo in Italia secondo l’IRU, l’Indice di rischio usura: quattro province a rischio ‘Alto’, Agrigento, Enna, Messina e Caltanissetta, cinque province a rischio ‘Medio-Alto’, Siracusa, Trapani, Palermo, Catania, Ragusa. Tra le Regioni a rischio usura, la Sicilia si colloca al quinto posto (con un indice di rischio del 78,2) dietro a Calabria (prima, con un IRU pari a 97,1), Campania, Basilicata e Molise. Il problema è che le banche continuano a negare anche le più piccole linee di microcredito a soggetti in difficoltà con basso merito creditizio. Questo, a livello di sistema è altrettanto illogico come pretendere che in ospedale non abbiano diritto alle cure coloro che stanno male. In sostanza, ciò che sosteniamo bisognerebbe fare contro il rischio dell'usura, che si percepisce e respira nettamente - continua Cappadona - è intervenire in due direzioni: da una parte, sul territorio, tenendo la guardia altissima con il monitoraggio, da parte delle Autorità, di tutte le compravendite sospette di attività commerciali e promuovendo nuovi ’Sportelli Sicurezza’ dedicati, cui rivolgersi per avere assistenza e facilitare le denunce; d’altra parte, garantire il necessario supporto economico ai soggetti in pericolo. Questo va declinato costituendo e incrementando la dotazione di fondi di solidarietà anti-usura, per chi ha già subìto un’azione predatoria o usuraia. Più in generale, come prevenzione a tutela di chi rischia di cadere nelle mani della criminalità organizzata, adottare politiche concrete per la concessione di credito e microcredito agevolato alle imprese sottocapitalizzate e/o sovraindebitate cui oggi viene negato. È una contraddizione - conclude Michele Cappadona - destinare importanti risorse pubbliche per lo start-up di nuove aziende e non intervenire, allo stesso tempo, a supporto delle imprese esistenti. Come AGCI Sicilia intendiamo promuovere iniziative congiunte con le altre associazioni di rappresentanza di ogni settore produttivo, per porre un argine anti-usura e misura di tutela e sostegno minimo anche alle più piccole microimprese in difficoltà”.
Credits: AltraSicilia