«Infermiere di famiglia? No, grazie. Una cosa è investire per rilanciare l’assistenza primaria e quella domiciliare attraverso lo sviluppo di percorsi integrati con equipe multidisciplinari, fornendo un potenziamento alle specializzazioni dei ruoli professionali già esistenti, altro è incardinare un nuovo profilo solista, nel processo riorganizzativo dell’assistenza primaria prescindendo dall’ordinario processo di costruzione “dell’ordinamento didattico”».
È il giudizio che i rappresentanti di Alleanza Cooperative, (Eleonora Vanni, Mauro Abate, Maurizio Pozzi, Silvia Frezza ed Enzo De Bernardo), hanno espresso intervenendo in Senato in Commissione Sanità sulla proposta di introdurre una nuova figura nella medicina di territorio: l’infermiere di famiglia.
«La confusione e la sovrapposizione di competenze del medico e del distretto si evidenziano in particolare nei passaggi in cui si attribuisce all’infermiere di famiglia il compito di “identificare e valutare lo stato di salute” degli individui e delle famiglie” (compito esclusivo del medico e degli specialisti degli aspetti sociali); di “pianificare ed erogare l’assistenza” (compito esclusivo del medico e del team e del distretto che lo approva e lo finanzia); di “pianificare e realizzare interventi formativi ed educativi rivolti, ai singoli, alle famiglie e alla comunità atti a promuovere modificazioni degli stili di vita” (competenza del distretto e dei soggetti che operano all’interno dell’equipe integrata e nella realizzazione del Piano Assistenziale)».
«La norma va cancellata o completamente rivista nel quadro complessivo delle priorità per lo sviluppo delle cure domiciliari poiché non riteniamo costruttiva, per la realizzazione di un sistema integrato di cure domiciliari appropriato, sostenibile ed efficiente, la creazione di una ulteriore figura professionale, distinta da quella generale del professionista infermiere e da quelle degli altri professionisti sanitari, che non risolve, ma complica la gestione integrata e la presa in carico del paziente laddove, ora più che mai c’è bisogno soprattutto di integrazione funzionale».
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