Crisi Covid. Il Governo Draghi ha approvato lo scorso 19 marzo il “Decreto Sostegni”, assicurando tempi veloci di attuazione dei provvedimenti adottati.
Gli interventi previsti dal decreto legge si articolano in 5 ambiti principali: sostegno alle imprese e agli operatori del terzo settore; lavoro e contrasto alla povertà; salute e sicurezza; sostegno agli enti territoriali; ulteriori specifici interventi settoriali.
Previsti contributi a fondo perduto per i soggetti titolari di partita IVA che svolgono attività d’impresa, arte o professione, nonché per gli enti non commerciali e del terzo settore, senza più alcuna limitazione settoriale o codice Ateco, che abbiano subito perdite di fatturato, tra il 2019 e il 2020, pari ad almeno il 30 per cento, calcolato sul valore medio mensile. Il nuovo meccanismo ammette le imprese con ricavi fino a 10 milioni di euro.
Il DL prevede la proroga del blocco dei licenziamenti fino al 30 giugno 2021 e della Cassa integrazione guadagni. Inoltre molte altre misure, tra cui l’incremento di 100 milioni di euro del Fondo straordinario per il sostegno degli enti del Terzo Settore; il rifinanziamento dei fondi previsti dalla legislazione in vigore per cultura, spettacolo, cinema e audiovisivo. [ leggi il testo completo del Decreto Sostegni ]
“L’impatto che l’emergenza Covid continua da avere nei confronti nel mondo della cooperazione è molto pesante ed è evidente che le sue conseguenze andranno ben oltre la durata della pandemia”, commenta Michele Cappadona, presidente regionale dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, AGCI Sicilia. “Non soltanto le imprese hanno dovuto subire un tracollo se non un sostanziale azzeramento del fatturato, secondo la tipologia di attività. Quando le aziende hanno lavorato, seppure a singhiozzo, hanno comunque subito pesantissimi oneri aggiuntivi per le misure di prevenzione del contagio. Questo in particolare per chi opera nel settore dei servizi sociali, di assistenza domiciliare, nelle strutture di accoglienza, in tutti i contesti in cui gli operatori sono a contatto con soggetti fragili. Rilevanti i costi per dpi e sanificazioni, ma notevole è stato anche l’appesantimento burocratico. Una delle criticità gestionali è stata anche la mancanza e il turnover di alcune categorie di personale, anch’esso colpito direttamente dalla malattia.
Aspetto essenziale resta la mancanza di liquidità. Alle difficoltà per la diminuzione di fatturato da committenti privati si aggiunge il cronico ritardo dei pagamenti a chi è fornitore della pubblica amministrazione, fenomeno indipendente dalla crisi Covid. Semplificazione amministrativa e pagamento entro 30 giorni continuano ad essere un mito, soprattutto in Sicilia. Stiamo affrontando il secondo anno di grave emergenza economica. Molte delle imprese che sopravviveranno all'attuale crisi rischiano comunque nel 2022 di non essere in grado di esporre alcun ricavo significativo nel biennio 2020-2021 agli istituti di credito, perdendo così gli ordinari requisiti di bancabilità e la possibilità di mantenere linee di finanziamento. Oltre a nuove immediate misure di sostegno, occorre pensare a moratorie per i mutui in essere, pensando da subito anche a quelli erogati attraverso interventi pubblici, come dal Fondo di Garanzia gestito da MCC-Invitalia, e in Sicilia da Irfis, Ircac e Crias.
Il Presidente Mario Draghi, da poco più di un mese al Governo del Paese, è la migliore risorsa in grado di guidare l’Italia in questo momento, ma non può certo fare miracoli. Nessuno meglio di lui è in grado di mantenere un rapporto alla pari tra l’Italia e Francia e Germania in grado da annullare il sentimento di subalternità degli italiani, di valorizzare il ruolo del Paese e il livello d’interscambio con i nostri maggiori partner economici europei. È apprezzabile la sincerità con cui si sia deciso di intitolare il decreto “Sostegni” e non “Ristori”, che rivela come si debba tenere conto realisticamente d'ora in poi che non sarà possibile trovare le risorse per rifondere interamente agli operatori economici tutti i danni subiti.
Ma il cambio di passo che il Mezzogiorno si aspetta da Draghi è ben altro. L’Italia continua ad essere spaccata in due, con il Centro-Nord e il Sud che procedono con impulsi e velocità diverse per quanto riguarda investimenti e sviluppo, un Paese mosso da politiche secessionistiche o coloniali, certamente non solidali e unitarie. L’antico argomento che esprimeva la necessità di destinare al Sud una quota tra il 30 e 40 per cento delle spesa pubblica ordinaria per ridurre il divario economico e sociale tra i territori delle due metà del Paese, è stato tradotto in norma per la prima volta nell’articolo 7bis della legge n.18/2017 (cosiddetto Decreto Mezzogiorno), che stabilisce sia destinato in favore delle otto regioni del Meridione un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione residente. Giuseppe Provenzano, mentre era ministro per il Sud nel Governo Conte2, aveva confermato che il criterio della “quota 34%” (cioè la percentuale degli abitanti del Mezzogiorno rispetto al totale degli italiani) sarebbe stato esteso anche alla ripartizione delle risorse del Ricovery Fund. In verità, per le infrastrutture il criterio di riequilibrio dovrebbe essere rapportata non alla popolazione ma alla superficie, cioè ad una quota superiore al 40% di quella nazionale”.
Mara Carfagna, ministra per il Sud e la coesione territoriale nel governo Draghi. durante il question time alla Camera lo scorso 17 marzo, ha dichiarato: «Nell'attuale bozza del Recovery Plan non c'è un capitolo destinato al Sud e per questo ho avviato un'attività di ricalcolo per conoscere le risorse destinate al Mezzogiorno. Si era parlato del 34% del Recovery Plan (concordo con il ministro all'Economia Daniele Franco il quale ha espresso che anzi occorrerebbe andare oltre), ma in realtà nel settore trasporti - tra opere ferroviarie, sistemi stradali e aeroportuali - il Sud dovrebbe intercettare il 50% degli investimenti (oltre 15,5 miliardi su 31), con una punta dell'83% per la cosiddetta "manutenzione stradale 4.0”. Con riferimento alla transizione ecologica risulta destinato al Sud il 48% in ambito agricolo (1,2 miliardi su 2,5) e il 50% sul trasporto urbano sostenibile (3,77 miliardi su 7,55)».
«La nostra priorità – ha dichiarato il giorno dopo alla ministra Carfagna il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci in un incontro in videoconferenza, insieme all’assessore all’Economia Gaetano Armao – è dotare la Sicilia di infrastrutture per la mobilità, del collegamento stabile sullo Stretto, di ferrovie veloci e sicure, del completamento della autostrada Mazara del Vallo-Gela, di un porto-hub e della riqualificazione della viabilità provinciale. Per sostenere il fragile e debilitato tessuto imprenditoriale siciliano, che da un anno soffre la paurosa crisi determinata dalla forzata chiusura a causa del Covid, servono ristori immediati e diretti – ha ribadito il Governatore – senza mediazioni e condizioni. Abbiamo auspicato l’attivazione delle Zone economiche speciali in Sicilia per le quali, già da oltre un anno, la Regione ha ultimato le procedure. Evitiamo – ha esortato il Governatore – che, anche stavolta, le Regioni del Nord possano tentare di compiere un ‘furto con destrezza’ ai danni del Meridione e della Sicilia in particolare». Carfagna ha evidenziato come il suo obiettivo è quello di esplicitare adeguate quote di finanziamento per il Sud nell'ambito del Recovery Plan.
Sulla necessità di provvedere a dotare la PA di figure nuove in grado di realizzare i progetti che cambieranno l’Italia, la ministra Carfagna e il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta avevano già annunciato che "la procedura per assumere 2.800 tecnici al Sud (profili esperti e giovani laureati) partirà il 25 marzo, dopo il via libera finale della Conferenza unificata. Tra il bando e la graduatoria finale i tempi saranno al massimo di tre mesi: a luglio le amministrazioni meridionali avranno a disposizione competenze e nuove capacità per portare avanti al meglio il lavoro sul Recovery plan".
“Ancora una volta dobbiamo osservare come siano estremamente chiare le criticità irrisolte - politiche, croniche, storiche - che continuano a impedire uno sviluppo del Sud e della Sicilia con livelli produttivi e occupazionali comparabili a quelli del Centro-Nord”, continua Michele Cappadona.
“La necessità di assegnare al Mezzogiorno almeno il 34-40% delle risorse, secondo parametri di popolazione e territorio, è conclamata da generazioni. Il primo atto che sancì l’unità d’Italia fu l’accollamento al nuovo Stato dei debiti di tutti gli Stati pre-unitari. Oggi la mancanza di solidarietà nazionale, formule ipocrite come il cosiddetto 'regionalismo differenziato', implicano invece la secessione, cioè l’esatto contrario dei principi di coesione che ispirano la visione dell’Unione Europea.
L’assessore all’Economia Armao ha chiarito che la condizione di insularità della Sicilia costa circa 6,5 miliardi l’anno, un costo cioè tale da rendere sostenibile l’immediato investimento dello Stato per realizzare senza indugio il collegamento stabile sullo Stretto di Messina. E, ponte o tunnel, mi riferisco sia alla soluzione unica stradale-ferroviaria, che a quella di realizzare separatamente i collegamenti nelle due modalità con tracciati diversi. Il ponte ferroviario sottomarino sospeso sarebbe immediatamente cantierabile. Da tenere presente l’obiezione che non è possibile finanziare con il Recovery Fund opere che si debbano terminare dopo il 2026”.
Il Ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha accolto 'con soddisfazione' i pareri favorevoli della Commissione Lavori Pubblici del Senato e delle Commissioni Ambiente e Trasporti della Camera sul Decreto per il commissariamento di alcuni interventi infrastrutturali bloccati da tempo. Si tratta di opere contenute nel programma 'Italia Veloce', allegato al Def 2020 e nella proposta del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra queste, opere ferroviarie strategiche come l’AV Salerno-Reggio Calabria e in Sicilia la AVAC Palermo-Catania-Messina (8,7 miliardi di euro) e il ripristino della linea Palermo-Trapani (via Milo).
“Nonostante la velocità d’intervento sia elemento economico cruciale in Sicilia, prima e durante la Crisi Covid”, sottolinea Cappadona, “non si è ancora riusciti a varare un concreto, intenso e adeguato piano per la realizzazione di opere pubbliche strategiche. L’Inps ha pubblicato i dati gennaio-dicembre 2020 dell’Osservatorio del precariato, in cui emerge che nonostante la misura Decontribuzione Sud con cui il governo Conte2 ha introdotto un bonus del 30% sul cuneo fiscale, sono stati assunti solo 45.000 lavoratori. Si stima che per raggiungere la soglia di un rapporto occupati-popolazione paragonabile a quello di Regioni a sviluppo compiuto, come l'Emilia-Romagna, occorrerebbero 3MLN di posti di lavoro. Siamo molto lontani dall'obbiettivo.
Per creare vera e consistente occupazione in Sicilia occorre capacità di attrazione di investitori extra-regionali, perché le imprese locali non sono nelle condizioni di procedere ad ulteriori assunzioni. Servono quindi le Zes manifatturiere, e una fiscalità di vantaggio che non si limiti al tagli ai contributi. Per questo motivo vanno introdotte anche le Zone Franche Montane e altre aree (zone turistiche, quartieri degli artisti, etc.) con le caratteristiche delle Zone Franche Urbane. Occorre inoltre finalmente varare i cantieri delle infrastrutture in Sicilia. L’alta velocità, è dimostrato, produce aumento del Pil. In sostanza, l’obiettivo è quello di suscitare una sufficiente massa critica di investimenti che metta in moto un’economia del Sud solida e sostenibile. Come diceva nel secolo scorso Mazzini, uno dei più autorevoli padri dell’unità della Nazione: «L’Italia sarà quello che il Mezzogiorno sarà»”.