Il ministro alle Politiche Agricole Patuanelli (M5S) ha proposto il cambiamento dei criteri di ripartizione del Fondo FEASR per gli anni 2021-2022.
La proposta, se applicata, causerebbe per i PSR della Regione Siciliana e le Regioni Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Umbria una perdita complessiva di risorse finanziarie per il biennio 2021-2022 di 407.407.433 euro.
L’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato ieri una risoluzione che impegna il governo regionale, e per esso l’assessore all’Agricoltura Toni Scilla, ad adottare tutte le opportune azioni volte a scongiurare la riduzione, per le regioni dei Mezzogiorno, dei fondi assegnati all’Italia nel settore dello sviluppo rurale (Fondo FEASR) per gli anni 2021 e 2022.
Abbiamo chiesto in merito un commento a Michele Cappadona, vicepresidente del GAL Tirrenico e presidente regionale dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, AGCI Sicilia.
“Il colpo di mano del ministro Patuanelli purtroppo è solo l’ennesima, più recente manifestazione di come viene spudoratamente applicato il dirottamento di risorse europee specificamente destinate al Sud d’Italia, e alla Sicilia in particolare, per ridistribuirle tra le Regioni del Nord. Questo nonostante sia “ampiamente riconosciuto dalla Costituzione Italiana e dai Trattati europei il principio di Coesione territoriale”, la cui applicazione attraverso fondi strutturali e programmi comunitari mirati ha lo scopo di “rimuovere gli squilibri economici e sociali esistenti, nonché a garantire uno sviluppo omogeneo e armonioso su tutto il Paese”, come richiamato ieri nella risoluzione Ars.
In particolare cosa sta accadendo con i fondi per l’Agricoltura?
Il ministro Patuanelli, senatore Cinquestelle eletto in Friuli Venezia Giulia, per la verità contestato per questa sua decisione dagli esponenti meridionali del suo stesso movimento, ha chiesto alla Conferenza Stato-Regioni la prescritta “intesa” sulla sua proposta di modificare i criteri di ripartizione del Fondo FEASR per gli anni 2021-2022, passando quindi dagli attuali criteri, cosiddetti “storici”, ad altri da lui chiamati “oggettivi”, con l’effetto di penalizzare il Mezzogiorno. Le Regioni Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Umbria lo scorso 30 marzo in Commissione Politiche Agricole hanno espresso il totale dissenso alla proposta ministeriale, definendola del tutto incomprensibile.
Cosa è successo ieri a livello istituzionale tra Regione Siciliana e ministro Patuanelli?
Giovedì 13 maggio, presso l’Assemblea Regionale Siciliana, in commissione parlamentare congiunta Attività produttive e Europa, in videoconferenza con il ministro Stefano Patuanelli, l’assessore all’Agricoltura Toni Scilla ha ribadito la ferma contrarietà del Governo Musumeci a modificare i criteri di riparto del PSR 2021-2022, provvedimento giudicato non corretto tanto per l’aspetto politico che normativo, che danneggerebbe notevolmente sul piano economico l’intero comparto agricolo siciliano.
L’assessore Scilla ha fatto presente l’incongruenza della pretesa, perché il Reg. UE 2020/2220 ha prorogato per il periodo “di transizione” 2021 e 2022 le disposizioni relative alla ripartizione della dotazione nazionale del FEASR tra i programmi regionali. In sostanza è stato prorogato sia il primo pilastro della PAC (Politica agricola comune), in cui è compreso l’intero regime dei pagamenti diretti agli agricoltori, che sostiene le misure di mercato ed è finanziato direttamente dal bilancio UE, che il secondo pilastro, in cui ricadono i PSR nazionali e regionali finanziati dal FEASR. Le modifiche che potranno essere discusse ad ogni livello, riguarderanno eventualmente sia il primo che il secondo pilastro ma avranno applicazione a partire dal 2023, non nel periodo di proroga già disposto dalla UE.
Qual è stata la reazione dell’Ars in seguito a questa contrapposizione?
Il Parlamento siciliano ha in sostanza stigmatizzato come sia incontrovertibile che oggi politiche e risorse nazionali di sostegno all’agricoltura vengano concentrate maggiormente nelle aree forti del Paese, mentre dovrebbe invece essere fatto l’esatto contrario per contrastare ogni gap esistente. La proposta ministeriale di Patuanelli toglie dalla disponibilità delle Regioni più svantaggiate risorse che sono, per loro stessa natura, destinate ad esse, dirottandole verso i territori più sviluppati, con l’ineluttabile conseguenza di aumentare i divari tra le zone agricole e rurali del Sud e Nord Italia.
L’Ars ha poi ribadito che il Mef, con nota del 21 aprile 2021 inviata al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ha confermato che l’ammontare delle risorse PSR per gli anni 2021/2022 deve essere quantificato secondo i criteri già definiti per la programmazione 2014/2020, come stabilito dalla delibera Cipe n.10/2015, sancendo, quindi, la proroga dei criteri vigenti, nel principio di invarianza finanziaria.
Infine, dato che il Consiglio dei Ministri entro il prossimo 21 maggio dovrà pronunciarsi in merito, poiché in sede di Conferenza Stato-Regioni, il 21 aprile scorso, non è stata raggiunta l’intesa, l’Ars ha impegnato il governo regionale e per esso l’assessore dell’Agricoltura, sviluppo rurale e pesca mediterranea “ad intraprendere le opportune interlocuzioni, nelle sedi istituzionali competenti, al fine di mantenere invariati i criteri di riparto del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Fondo FEASR) per gli anni 2021 e 2022″.
Quale scenario si apre di conseguenza?
L’intento di Patuanelli è pericolosamente sintomatico. Si conferma la politica a trazione Nordista di sempre, di cui si avvantaggiano le regioni più ricche che negli anni hanno ricevuto nettamente più risorse UE, come dimostrano in Agricoltura i finanziamenti del primo pilastro. E com’è già delineato nel PNRR. È stata addirittura spacciata come una vittoria avere indicato una destinazione del 40% delle risorse del Recovery Plan italiano al Mezzogiorno. È evidente invece, anche in ragione dei parametri di ripartizione stabiliti dalla UE, che la proporzione adeguata a perseguire il principio della Coesione e colmare l’enorme divario infrastrutturale e ogni altra condizione di storico svantaggio economico e sociale del Sud è almeno del 60-70%.
A meno di un brusco cambio di rotta che non cesserò mai di auspicare, diventa sempre più certezza il rischio che alla Sicilia e al Meridione – nonostante conti oltre un terzo degli elettori italiani – venga beffardamente sottratta, dopo le inaudite sofferenze subite per la pandemia, anche l’irripetibile occasione di riscatto offerta dal Next Generation UE.
Credits: IlGazzettinodiSicilia