Vuoti normativi, malaburocrazia, Comuni in default: le imprese sociali denunciano una sempre più grave situazione di complessiva criticità delle attività di assistenza, che compromette anche la sopravvivenza dei servizi di accoglienza residenziale temporanea per donne in difficoltà e vittime di violenza con i loro bambini.
“La politica è sorda”: così protestano le cooperative sociali che chiedono di conoscere la programmazione regionale sugli interventi a sostegno delle donne vittime di violenze e, soprattutto, come l’Amministrazione regionale intende controllare i Comuni inadempienti, i cui debiti verso i gestori dei servizi di assistenza rimangono insoluti per anni. “È tutto fermo: non si esitano i bandi sulle borse lavoro e sui contributi alle case rifugio e ai centri antiviolenza”. Si lamenta anche l’assenza di controlli rispetto ai servizi improvvisati, che arrecano nuovi danni alle donne invece che dar loro sollievo, sicurezza e speranza.
“Le proteste delle imprese cooperative sociali nostre associate sulla situazione delle case rifugio per donne in difficoltà e vittime di violenza sono fondate e meritano ascolto e risposte. Lo stesso assessore Antonio Scavone, su nostra segnalazione, avendole valutate si è detto subito disponibile a studiare le necessarie misure di intervento” dice Michele Cappadona, presidente dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, AGCI Sicilia.
“La lacuna normativa in merito risale al 31 marzo 2015, quando la Regione Siciliana ha emanato il D.P. n. 96 per stabilire i nuovi standard per le due tipologie di case accoglienza, rispettivamente, in favore di ‘donne vittime di violenza con i loro bambini’ e di ‘donne in difficoltà con figli minori’. La norma, però, non indicava gli importi delle rette dovute per i relativi servizi, il che a tutt'oggi continua a creare problemi tra i soggetti gestori delle Strutture e le amministrazioni comunali.
Ben tra anni dopo, da un tavolo tecnico assessoriale è scaturita la decisione di stabilire una retta giornaliera di € 62,00, ma solo per la prima tipologia "case accoglienza per donne vittime di violenza e dei loro bambini”, sancita con il D.A. 124/2018 GAB del Servizio 3 “Terzo Settore, pari opportunità, antidiscriminazione e violenza di genere”. L’inerzia attuativa non è però cessata ed è responsabile anche del mancato adeguamento annuale di quella sola tipologia, come previsto per Legge, secondo gli indici ISTAT.
Tali lacune normative - spiega Cappadona - sono causa di grave disagio per gli enti gestori delle case accoglienza, che si ritrovano a dover subire situazioni in cui amministrazioni comunali si rifiutano di pagare la retta dopo aver usufruito del servizio, o che pagano una retta inferiore a quanto stabilito dalla Regione perché lamentano carenza di fondi e, per giunta, che erogano gli importi dovuti con ritardi inaccettabili: una piaga, quella dei ritardi, che come ormai tristemente noto affligge l’intero sistema dei servizi socio-assistenziali, incluse le altre tipologie di strutture quali le comunità alloggio per disabili e quelle per minori.
Per quanto riguarda poi le case per donne in difficoltà, la mancanza di una statuizione regionale in proposito lascia all'arbitrio delle amministrazioni comunali stabilire il corrispettivo della retta, invariabilmente a scapito della qualità del servizio, istigando al lavoro nero.
Come esempio delle criticità subite e di come diventi lungo e complicato per i gestori ricevere semplicemente i pagamenti dovuti - sottolinea Cappadona-, segnaliamo che il Comune di Catania, pur richiedendo l'adeguamento dei servizi in base al D.P. n. 96, che prevede costi superiori al passato soprattutto in termini di personale, richiedendo la presenza di un operatore nelle 24 ore, non ha inteso adeguare la retta. Pertanto, una cooperativa nostra aderente ha dovuto presentare ricorso al TAR, a seguito del quale il Comune di Catania si è dichiarato disponibile ad adeguare la retta per le sole case per donne vittime di violenza, in quanto la Regione aveva già stabilito gli importi, ma non per la seconda tipologia. Successivamente il Tar ha stabilito che Comune di Catania e Regione avrebbero dovuto provvedere ciascuno per le rispettive competenze. Al momento, considerando che nulla era stato fatto, perché il comune di Catania attende il decreto assessoriale che stabilisce la retta adeguata, mentre la Regione non ha ancora emesso il decreto che stabilisce la retta per le case accoglienza per donne in difficoltà, è stato nominato un commissario ad acta e si attendono notizie in merito.
Il Comune di Catania lamenta correttamente la mancanza di uno specifico D.A. che, a parere dell'AGCI, dovrebbe equiparare la retta per le case di accoglienza delle donne in difficoltà a quella già applicata per le Comunità Alloggio per Minori, pari ad € 80,16 pro die pro capite, iva esclusa.
A completare il quadro - afferma il presidente Cappadona -, non possiamo non menzionare espressamente le frequenti situazioni di dissesto delle amministrazioni comunali, che costringono i gestori dei servizi ad accettare pagamenti parziali che rasentano i limiti del ricatto, mettendo letteralmente in ginocchio le loro organizzazioni. Il citato Comune di Catania, a titolo di esempio, ha costretto ad accettare il 40% del credito vantato da una nostra associata a causa del dissesto finanziario ancora in corso, che l’impresa si è trovata giocoforza ad accettare dovendo provvedere al pagamento degli stipendi del personale delle case di accoglienza, agli affitti, alle utenze di luce, gas e linee telefoniche, spese varie, e non ultimo a provvedere ai bisogni delle donne ospitate e dei loro bambini.
L’impresa, dunque, non ha potuto fare a meno di accettare una percentuale, seppure ingiusta, pur di garantire la sopravvivenza del servizio.
Si consideri inoltre che spesso i gestori delle strutture sono costretti a fare ricorso ad anticipazioni e prestiti bancari per fare fronte ai pagamenti dei contributi mensili (INPS, Inail, Irpef, altre tipologie di tasse ed eventuali cartelle esattoriali) per mantenere il DURC in regola e non incorrere nel blocco dei pagamenti da parte degli Enti locali debitori che in proposito interrogano l’Agenzia delle entrate-Riscossione (AdER), deputata alla certificazione della regolarità dell’Impresa per l’eventuale cessione di crediti. Tutti elementi critici che sommati alle difficoltà endemiche dei servizi di assistenza sociale sia residenziali che domiciliari, e ai continui ritardi nei pagamenti, stringono le imprese in una morsa che le rende vulnerabili alla mortificazione da parte di Enti locali e Comuni, che propongono il saldo dei debiti con stralci, come visto, fino al 60% del totale dovuto. Ciò significa aggiungere l’ulteriore difficoltà per l’impresa di mantenere la propria forza lavoro. Del resto - vuole ricordare Michele Cappadona -, Giuseppe Mazzini è stato anche uno dei massimi teorici agli albori del Movimento Cooperativo, e celebre è la sua massima “lavoro e capitale nelle stesse mani”: ciò significa, nel caso di specie, che essendo i lavoratori imprenditori di se stessi, in quanto soci delle Cooperative in cui prestano la propria attività lavorativa, a fare le spese dei ritardi e dei tagli applicati dagli Enti locali sulle somme dovute, sono gli stessi lavoratori. Allo stesso tempo, il T.U. degli enti locali afferma che in caso di dissesto non possono essere decurtati gli stipendi, ma la sua ordinaria interpretazione porta a considerare stipendi solo quelli degli lavoratori pubblici, i lavoratori degli enti che garantiscono la continuità di strutture di così importante valore sociale finiscono col subire un trattamento diverso solo per essere contenuti nel capitolo "servizi", essendo considerati, praticamente, lavoratori di terza categoria.
Le disavventure rappresentate dalla coop nostra aderente con il Comune di Catania non rappresentano, purtroppo, un caso isolato. Anche altre imprese cooperative nostre associate lamentano quanto sia frustrante fornire i servizi in emergenza, lavorare per mesi a stretto contatto con la Rete dei Servizi (Servizi sociali, Dipartimenti di Salute Mentale, Tribunali per i Minorenni, Reparti di Neuropsichiatria infantile, etc.) per sentirsi infine rispondere, ad esempio dal Comune di Francofonte (SR), che questo non pagherà le rette. A peggiorare la situazione, la sentenza del giudice che respinge il Decreto Ingiuntivo, motivata con argomenti che sembrano tutelare soltanto gli equilibri di bilancio dei Comuni che non hanno previsto come pagare correttamente il servizio a scapito di chi, invece, lo ha materialmente espletato per conto dell’Ente pubblico.
Per tutte le problematiche sopra esposte, sarebbe auspicabile una riflessione in merito alla necessità di una regolamentazione meno frammentaria, che assicuri alle imprese sociali la certezza di ricevere il dovuto. Riteniamo infatti sia più importante garantire nei fatti, alla donna che riesce a trovare il coraggio di ribellarsi alla violenza, un rifugio dove poter riprendere le fila della propria vita, anziché cambiare simbolicamente il colore delle panchine che molti Comuni si sono affrettati a dipingere, iniziative che di certo non salvano le donne.
Sarebbe auspicabile, vista l'assoluta necessità di queste particolari tipologie di servizio, che già a partire dall’anno corrente, la Regione si facesse carico dei costi in misura non inferiore al 50% degli importi delle rette.
Nel frattempo - dichiara Cappadona - chiediamo che il Governo regionale definisca con urgenza una regolamentazione attuativa adeguata, imponendo ai Comuni l'applicazione della norma regionale con procedure certe e pagamenti nel rispetto dei mitici 30 giorni che troppo spesso viene ampiamente disattesa, nonché l’emanazione di un D.A. che preveda l’obbligo per i Comuni di procedere alla stipula di apposite convenzioni contestuali all’affidamento del servizio, consentendo così alle stesse amministrazioni comunali di poter accedere ai contributi regionali stanziati per i servizi di assistenza in favore delle donne in difficoltà e vittime di violenza.
Esprimiamo all’assessore Antonio Scavone forte preoccupazione per le citate criticità, riscontrate giorno dopo giorno, da anni, dalle imprese cooperative nostre associate e, più in generale, da tutte le imprese sociali che incontrano queste stesse problematiche - conclude Michele Cappadona-. Auspichiamo e abbiamo fiducia che l’assessore alla Famiglia, lavoro e politiche sociali, in coerenza con la sensibilità già dimostrata, si interessi alle gravi difficoltà esposte e vorrà farsene portavoce, unitamente al Governo regionale di cui è espressione, anche presso il Governo nazionale, per dare una risposta definitiva tanto alle utenti in difficoltà che ai soci-lavoratori delle cooperative sociali.
Credits: AltraSicilia