La maggior parte dei comuni italiani in dissesto finanziario sono in Sicilia, secondo il rapporto della Commissione ministeriale per la stabilità finanziaria degli enti locali 2021. A questo primato si aggiunge il secondo posto, dopo la Campania, per numero di enti locali in predissesto.
«Preoccupazione e allarme per le imprese siciliane, in un contesto che continua ad essere emergenziale per il tessuto produttivo regionale», dichiara Michele Cappadona, presidente Associazione Generale delle Cooperative Italiane.
«Dall’analisi realizzata dal dipartimento per Affari Interni e Territoriali del ministero dell'Interno, emerge che attualmente sono 120 i comuni e le province in dissesto finanziario, per i quali non sono ancora trascorsi i 5 anni decorrenti dall’anno del bilancio stabilmente riequilibrato. Di questi, ben 30, il 25% sono in Sicilia. Sono, inoltre, 266 enti locali attualmente in “predissesto”, cioè in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. La Campania ne conta 47, segue la Sicilia con 46 (cioè il 17,67% del totale nazionale). In Sicilia, gli enti in riequilibrio sono il 11,76 del totale dei Comuni pari a 391, mentre in dissesto finanziario risulta il 7,67%, per un totale del 19,43% di Comuni in sofferenza finanziaria. Secondo il Dipartimento alle autonomie locali della Regione Siciliana, al 19 ottobre 2021 il numero degli enti locali nel territorio regionale in dissesto finanziario era 44, che abbiano avviato la procedura di riequilibrio finanziario, 53. Un numero di enti locali siciliani colpiti dalle conseguenze di gravi condizioni di squilibrio finanziario che pare destinato ad aumentare sensibilmente.
Sulle conseguenze e l’efficacia della procedura di dissesto - continua Cappadona - è emblematico il caso del Comune di Catania, che pur avendo aderito al piano di riequilibrio economico-finanziario pluriennale nel 2013, non ha affatto migliorato la sua condizione, anzi ha dichiarato il dissesto il 12 dicembre 2018.
Per le imprese creditrici, l’effetto tanto del riequilibrio che del dissesto è disastroso. I creditori si vedono negata ogni possibilità di azione esecutiva dal momento della dichiarazione di dissesto, ed in aggiunta il loro credito viene cristallizzato (non produce dunque interessi, né rivalutazioni legate all’inflazione). Effetti ancora più gravosi per i tempi biblici della procedura. La rilevazione della massa passiva ha una durata compresa tra i 6 mesi ed i 12 mesi. L’organo straordinario di liquidazione ha tempo 2 anni dall’insediamento per predisporre il piano di estinzione delle passività, soggetto poi ad approvazione da parte del ministero dell’interno. All'impresa creditrice, in termini di “procedura semplificata” può essere offerto il pagamento di una somma variabile tra il 40 ed il 60 per cento del debito originario.
È poi da considerare - osserva Cappadona - l’aspetto rilevato dalla Corte costituzionale con sentenza del 14 febbraio 2019, n. 18 dove si afferma che l’ammortamento sulle anticipazioni di liquidità che consentono agli enti locali in predissesto di finanziare il disavanzo, distribuito su un arco temporale di trent’anni, viola il principio dell’equilibrio dinamico del bilancio al quale tutte le pubbliche amministrazioni sono costituzionalmente soggette, e si pone in contrasto con il principio di responsabilità politica degli amministratori locali di fronte ai propri elettori e contraddicono elementari principi di equità tra le generazioni presenti e future.
Altro aspetto di rilievo proviene dall’ordinanza della sezione V del Consiglio di Stato, del 21 aprile 2021, n. 3211, dove si riporta che le procedure di gestione dei “pagamenti delle somme dovute fino al riequilibrio del bilancio dell’ente, non giustificano il mancato pagamento dei debiti accertati in sede giudiziaria, poiché lesive dei principi in materia di protezione della proprietà e di accesso alla giustizia riconosciuti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Occorre quindi un intervento normativo di riequilibrio ed equità, che tuteli le imprese private quando incorrono nelle procedure di dissesto o predissesto. Non è infatti tollerabile - dichiara Cappadona - che l’ente pubblico non risponda più dei suoi debiti, giungendo a causare gravissimi danni e il fallimento delle imprese fornitrici, cui viene in sostanza scaricato l’effetto di una cattiva gestione amministrativa, politica e burocratica che sia. Occorre prevedere innanzitutto le tutele di continuità e intangibilità delle risorse economiche destinate ai servizi incomprimibili (l’esempio più facile e intuitivo sono i servizi di assistenza socio-sanitaria garantiti dal privato sociale). Più in generale, occorre assicurare misure compensative tali da neutralizzare la tempistica biblica del “congelamento” dei crediti, assicurando liquidità, per esempio, attraverso fondi di garanzia pubblici, senza interessi.
La preoccupazione del mondo delle imprese riguarda il quadro economico generale, dalle politiche di investimento che continuano a penalizzare il Sud, alla cattiva, lentissima, burocrazia e alla classe politica assolutamente inadeguata a guidare la pubblica amministrazione.
Ne è purtroppo un chiaro esempio la legge di bilancio della Regione Siciliana, in questo momento in discussione all’ARS, costellata di tagli ed emendamenti che rivelano una totale confusione e l’assenza di concreta prospettiva dei politici nostrani. Vengono sforbiciati non solo i settori che dovrebbero essere strategicamente destinatari di maggiori risorse (turismo, cultura, ambiente) ma anche i livelli essenziali di assistenza e i diritti incomprimibili. Non si coglie il senso del timing su previsioni di spesa pluriennali che tengano conto delle priorità immediate, si avverte il caos invece di percepire criteri basati su missioni e programmi ben definiti di spesa e investimento di risorse.
Siamo davvero stanchi di veder considerata la nostra Sicilia come "povera ma bella". I siciliani meritano di più».