"Denunciamo l’inammissibile inerzia di Stato e Regione sul costante aumento del numero degli enti locali siciliani in dissesto e delle disastrose conseguenze economiche e sociali sul territorio" - dice Michele Cappadona, presidente dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane- AGCI Sicilia.
«La crisi strutturale affligge i 391 comuni siciliani ormai da troppi anni - continua Michele Cappadona -, con la conseguenza che al momento 181 enti locali non hanno ancora approvato i bilanci per l’anno in corso mentre già oltre 100 Comuni sono stati costretti a dichiarare il dissesto o si trovano in condizione di pre-dissesto».
«La mancata approvazione del bilancio da parte dei Comuni - ha dichiarato Andrea Messina, assessore alle Autonomie locali e Funzione pubblica della Regione Siciliana, - mi pone l’obbligo della nomina di un commissario ad acta con poteri sostitutivi. I bilanci, sia consuntivi che di previsione, sono documenti indispensabili che regolano l’attività economica e finanziaria dei comuni. L’intervento della Regione serve a garantire il corretto svolgimento delle attività e dei servizi nelle comunità locali».
«Tra le problematiche collegate alle difficoltà economiche e al dissesto dei comuni in Sicilia come in Italia - spiega il presidente AGCI Sicilia Michele Cappadona -, le più rilevanti sono: la diminuzione dei trasferimenti regionali per la spesa corrente; la fortissima diminuzione dei trasferimenti statali a causa del federalismo fiscale; l’introduzione del fondo crediti di dubbia esigibilità.
In sostanza, i trasferimenti regionali di parte corrente sono diminuiti in Sicilia negli ultimi anni da circa 1 miliardo di euro a circa 330 milioni di euro.
La forte diminuizione dei trasferimenti statali si origina da come sono state strutturate le norme che riguardano la devoluzione, il processo di riduzione delle competenze dello Stato e la loro contemporanea attribuzione alle regioni e agli altri enti locali. Nel lessico politico il tema della devoluzione è stato sostituito con “federalismo fiscale” e riguarda la materia della riforma del titolo V operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dall'art. 119 della Costituzione, che ne contiene i princìpi. Il federalismo fiscale è entrato in vigore a seguito dell'approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il cui proponente era l'allora ministro Calderoli. Tale norma ha fortemente penalizzato le regioni del Mezzogiorno, perché i trasferimenti - non essendosi ancora stabiliti i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) da garantire da parte dei comuni su tutto il territorio nazionale - vengono commisurati allo storico dei servizi attivati dal Comune con le sue attuali risorse (naturalmente molto più scarse per i comuni del Sud).
L’introduzione, con il bilancio armonizzato, del fondo crediti di dubbia esigibilità comporta che quando un credito è dichiarato definitivamente ed assolutamente inesigibile, lo si elimina dalle scritture finanziarie e, per lo stesso importo del credito che si elimina, si riduce la quota accantonata nel risultato di amministrazione a titolo di fondo crediti di dubbia esigibilità. In poche parole se l'ente prevede di incassare 100 dai tributi e dopo riesce ad incassare 50, in sede di bilancio di previsione deve accantonare i 50 non incassati. I comuni ricevono un doppio danno: mancanza di liquidità ed accantonamento somme con conseguente “ingessamento” del bilancio. Tale fondo a lungo termine è il principale responsabile del dissesto dei comuni in quanto ad un certo punto il fondo non si riuscirà più a coprire non essendoci le necessarie risorse per gli accantonamenti. Basti pensare alla Tari i cui costi negli ultimi anni sono così fortemente aumentati che i cittadini non riescono più a pagare».
«Le norme prevedono l’adozione di un piano di riequilibrio con la possibilità di un mutuo con la cassa depositi e prestiti con interessi a carico dello Stato - spiega Michele Cappadona -, ma costringe i Comuni ad approvare un bilancio con elevazione, al livello massimo consentito dalla legge, delle entrate proprie (tasse comunali); a proporre ai creditori una decurtazione offrendo in pagamento una somma variabile tra il 40 ed il 60 per cento dell’intero debito; alla mobilità del personale eccedente; all’impossibilità di assicurare servizi pubblici efficienti per mancanza di risorse».
«È evidente l’iniquità di offrire una decurtazione fino al 60% del credito vantato da un’impresa che fornisce servizi di assistenza sociale al Comune come una cooperativa sociale, il cui credito per oltre il 95% riguarda spese del personale. Per giunta imponendo pagamenti che prevedono il saldo a sette anni - spiega il presidente Cappadona -. In tali situazioni, occorrerebbe equiparare diritti e tutele dei lavoratori a quelli dei dipendenti pubblici. E istituire un Fondo di garanzia per impedire il fallimento di tutte le imprese che hanno il solo torto di essere fornitrici di Enti locali».
La gravità della situazione dei Comuni siciliani va sottolineata ancora una volta in tutta la sua preoccupante vastità. Tante le criticità che necessitano di interventi finanziari e normativi immediati: emergenza rifiuti; lo spopolamento, aggravato da norme che impongono il dimensionamento scolastico e la chiusura di ospedali di prossimità; l’eccessivo aumento dei costi dell’energia che i comuni spesso pagano il doppio del costo di mercato; l’impossibilità di assicurare servizi pubblici efficienti per mancanza di risorse. Territori che perdendo i suoi abitanti rischiano una sempre più reale desertificazione culturale, economica e sociale.
L’istituto del dissesto finanziario è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano con l’articolo 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66.
«È assolutamente intollerabile - continua Michele Cappadona -, subire una normativa che da 35 anni, nonostante le numerose modifiche e integrazioni, si rivela del tutto insufficiente a gestire una situazione non straordinaria ma cronica. Un fenomeno che, naturalmente, in Sicilia è ancora più devastante perché accentuato da tutto ciò che costituisce storico e costante divario economico con il Centro-nord in termini di investimenti industriali, infrastrutturali, al tessuto imprenditoriale diffuso. In sostanza, l’attuale normativa rappresenta solo ambulanza e pronto soccorso, senza eliminare flagello e calamità, le cause del male. Nulla di ciò che viene retoricamente sbandierato come misura di sostegno risulta efficace e incisivo e produce risultati. Al Sud - la prova è anche cosa avviene con il Pnrr - viene dato sempre meno di ciò che fisiologicamente serve e merita, con criteri differenziati penalizzanti e iniqui che non sono in grado di indicare un orizzonte che mostri credibili aspettative di serenità e sviluppo. L’attuale classe politica, tutta, non si dimostra in grado di dare le risposte di cui cittadini, lavoratori e imprese, in Sicilia come nel Paese, hanno bisogno ma soprattutto hanno diritto».