"La proposta dell’Italia e del Ppe di anticipare al 2025 la revisione del Green Deal Ue sta diventando sempre più condivisa a livello europeo, non solo nella politica ma soprattutto negli stakeholder, nelle imprese e nei lavoratori. Dobbiamo fermare le politiche ideologiche, esasperate, sulla transizione verde, rimettendo al centro il lavoro e il benessere degli europei".
Così l’eurodeputato Marco Falcone, vice capo della delegazione italiana nel Gruppo Ppe al Parlamento Europeo, intervenendo a Catania al seminario internazionale di studi 'Il Green Deal europeo, le sfide per i lavoratori'. A promuoverlo il Movimento Cristiano Lavoratori, Feder.Agri ed Eza, alla presenza di esperti e dirigenti di settore da tutta Europa.
"Difendere l’ambiente è certamente un imperativo - ha sottolineato Falcone - perché da questo dipende la vivibilità del pianeta. Ma accanto a ciò va tutelata l’occupazione, i posti di lavoro, la stabilità dei nostri sistemi di produzione. Questo il nostro impegno come Gruppo Ppe a Bruxelles e a Strasburgo, di cui la Commissione Europea dovrà tenere conto già a partire dalle audizioni dei nuovi commissari a novembre", ha concluso Falcone.
Il Green Deal (Patto Verde) è il complesso di riforme Ue hanno l’obiettivo di fare diventare entro il 2050 l’Europa il primo continente a impatto climatico zero. La “legge europea sul clima” del 2021 ha anche fissato l’obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni dell’Ue di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990. La legge prevedeva inoltre la definizione di un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni per il 2040, che a febbraio 2024 è stato indicato dalla Commissione europea al 90 per cento.
«Sostengo con convinzione la posizione sul Green Deal dell’eurodeputato Marco Falcone - dichiara Michele Cappadona, presidente dell'Associazione Generale delle Cooperative Italiane-AGCI Sicilia -. La riconversione industriale necessaria alle imprese italiane per avviare e tentare di mantenere gli attuali obiettivi del Green Deal è lunga e costosa. Sono noti gli ammonimenti del rapporto Draghi “The future of european competitiveness”. Tre le aree principali di intervento per l'economia europea: innovazione tecnologica, un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività, l’aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze. “L’Europa si trova ora ad affrontare tre grandi trasformazioni, la prima delle quali è la necessità di accelerare l’innovazione e di trovare nuovi motori di crescita”, sottolinea il testo. In secondo luogo, afferma Draghi, “l’Europa deve ridurre i prezzi elevati dell’energia continuando a decarbonizzare e a passare a un’economia circolare”. Infine, ha spiegato l’ex presidente della Bce e ex Premier italiano, “l’Europa deve reagire a un mondo di geopolitica meno stabile, in cui le dipendenze si trasformano in vulnerabilità e l’Europa non può più contare su altri per la propria sicurezza“. Per promuovere l’innovazione e abbassare i prezzi dell’energia all’Europa occorrono investimenti, che Draghi stima in 750-800 miliardi l’anno (5% del Pil) - sottolinea Michele Cappadona. Per rendere disponibili tali risorse occorre un aumento del tasso di crescita. “Si tratta - si legge nel report di Draghi - di una cifra senza precedenti: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948-51 ammontavano a circa l’1-2% del PIL all’anno. Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”. La situazione non potrebbe essere più chiara di quella esposta per l’automotive dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, in audizione in Senato lo scorso 11 ottobre. Tavares ha in sintesi affermato che la sua azienda, si sta attrezzando per fare ciò che la politica ha stabilito, ovvero il passaggio integrale dal motore termico all’elettrico entro il 2035. Questo passaggio, però, non è affatto indolore: incide aumentando del 40% il costo della produzione. Quindi rischia di mettere fuori mercato il prodotto, e di scaricare sull’intera filiera produttiva (fatta di lavoratori diretti, di indotto e di rete di rivendita) un peso insostenibile”. Infine, per produrre auto elettriche occorrono le batterie, che non sono prodotte in Europa. Occorre recuperare competitività sul piano globale, ma muovendoci in un ambito di vera neutralità tecnologica e puntando assolutamente a una autonomia strategica nelle tecnologie green. È controproducente riconvertire verso l’auto elettrica quando per la sua produzione non siamo indipendenti, essendo costretti a comprare batterie dalla Cina - conclude Michele Cappadona.»
"L'approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e ha sostenuto finora lo sviluppo del Green Deal europeo ha creato effetti disastrosi. È una posizione che noi abbiamo sostenuto fin dall'inizio, spesso in splendida solitudine, e che oggi, finalmente, è diventata invece patrimonio comune. Perché non è vero che per difendere l'ambiente e la natura l'unica strada percorribile sia quella tracciata da una minoranza palesemente ideologizzata". Così la premier Giorgia Meloni, nel corso delle sue comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo.
"Anche i più convinti e integralisti sostenitori di questo approccio si sono resi conto che non ha alcun senso distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza e occupazione e condannarsi a nuove dipendenze strategiche, per perseguire obiettivi impossibili da raggiungere" ha sottolineato la presidente del Consiglio, aggiungendo: "Come ho detto mille volte, inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è, semplicemente, un suicidio. Non c'è nulla di verde in un deserto, e nessuna transizione verde, alla quale guardiamo con favore, è possibile in una economia in ginocchio".